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QUELLA TREMENDA PAURA DEGLI ALTRI

La fobia sociale è uno stato di intensa ansia rispetto alle situazioni sociali in cui la persona deve relazionarsi con gli altri. Il timore delle situazioni sociali può interessare i rapporti con i colleghi, con i compagni di studio, con gli amici, si tratta quindi di tutte quelle attività in cui il rapporto della persona è uno a molti. La persona con fobia sociale è abile, capace di relazionarsi in situazioni in cui è presente solo un’altra persona, ma si sente inadeguata nelle situazioni in cui sono presenti diversi soggetti.

QUALI SONO LE EMOZIONI E I PENSIERI DELLA PERSONA CHE TEME GLI ALTRI
La paura di esporsi è sicuramente l’elemento chiave, l’emozione di base, di questo disagio intenso a cui fanno da corollario il senso di imbarazzo e di vergogna quando la persona si sente in un qualche modo “costretta” a partecipare a determinati eventi.
I pensieri maggiormente riscontrati sono molteplici e caratterizzati dall’anticipare mentalmente i propri timori in un circolo vizioso senza risoluzione.
Ne sono esemplificativi questi esempi:
“Ogni volta che devo andare ad una festa mi sento a disagio.
“Trascorro tutto il tempo a pensare che gli altri non mi rivolgeranno la parola, che me ne starò seduto sul divanetto in attesa che il tempo faccia il suo corso, mi sentirò tutti gli occhi puntati addosso, e tutti parleranno male di me”
“Sarò costretto a bere perchè è l’unico modo per sentirmi rapidamente a mio agio, per non pensare, per restare leggeri, per godersi la serata”.
“Non ho nulla di interessante da raccontare, sono il solito sfigato, gli altri sono bravi a raccontare le loro avventure”
“Spero che tutto passi velocemente perchè mi sento un pesce fuor d’acqua”

“Già, per la maggior parte del tempo nessuno pensa affatto a te. Tutti sono troppo occupati a preoccuparsi della propria vita; e se pensano a te, si chiedono cosa tu pensi di loro.”

Ricordare ciò che un giorno disse il dottor Daniel Amen: quando hai diciott’anni, ti preoccupi di ciò che tutti pensano di te; quando ne hai quaranta, te ne freghi di ciò che chiunque pensa di te; quando ne hai sessanta, ti rendi conto che nessuno ha pensato affatto a te.

Già, per la maggior parte del tempo nessuno pensa affatto a te. Tutti sono troppo occupati a preoccuparsi della propria vita; e se pensano a te, si chiedono cosa tu pensi di loro.

LE STABILI RELAZIONI EXTRA CONIUGALI

Un universo parallelo quello delle storie d’amore che originano e si consumano al di fuori della relazione ufficiale (matrimonio, convivenza, fidanzamento). Fino alla diffusione su larga scala dello smartphone e dei correlati social media le tinte colorate delle relazioni extra-cogniugali vedevano coinvolto in classico triangolo amoroso. Uno dei due componenti della coppia instaurava una relazione con una persona libera, single, oggi, invece, il quadro vede coinvolti partner con relazioni stabili che rivolgono le loro attenzioni ad altri partner con altrettante relazioni stabili.
Una folla di persone coinvolte, altro che triangolo!

TRADIMENTO O AMORE PARALLELO?
Nell’esperienza clinica mi sono imbattuta in un universo femminile di donne che conducevano da anni vite parallele.
In tutte le loro non c’era l’idea di tradimento nei confronti del partner, ma sentivano di vivere una storia d’amore intima e personale che aveva i suoi spazi e i suoi tempi al di fuori della coppia ufficiale. Queste storie d’amore ricalcano un copione simile.

IL COPIONE DELLE STORIE D’AMORE
Durante i primi 12-18 mesi del nuovo rapporto la donna è totalmente travolta dalla passione e dal benessere che ricava dal trascorrere del tempo con il nuovo uomo. Riesce a diventare un’acrobata esperta di equilibri continuamente mutevoli, ritagliando tempo, energie e presenza da dedicare all’altra persona. Tempo, energie e presenza che vengono sottratti ai figli (per coloro che li hanno), ma a cui la donna non può rinunciare perchè avverte un’attrazione talmente intensa che, dalle stesse, viene descritta come “effetto calamita”.
Quando approdano alla loro dimensione domestica potrebbe essere tutto risolto, ma in realtà la loro presenza fisica non corrisponde ad un’altrettanta presenza emotiva, si percepiscono, infatti, poco attente e concentrate ed emotivamente distanti. Dove sono?
Sono ancora sotto l’effetto del sistema dopaminergico che intorpidisce i sensi dopo aver scaricato benessere nel corpo e nella mente. Passato l’arco temporale dei 12-18mesi cominciano a farsi strada i sensi di colpa rispetto alle mancate attenzioni nei confronti dei figli e di se stesse.

QUALCOSA SI INCRINA
Se il tempo trascorso nella relazione diventa lungo (alcuni anni) la persona ad un certo punto può avere un crollo emotivo importante, questo generalmente avviene quando, la donna realizza che l’amante non ha scelto lei.
Il rapporto diventa litigioso, la donna a vanza richieste e soprattutto ci crede, concede tempo all’uomo, sopporta le promesse, ma alla fine tutti i nodi vengono al pettine e la donna realizza, suo malgrado, che la persona su cui ha investito tempo, emozioni, sentimenti, aspettative non farà mai u n passo concreto nei suoi confronti.
Attenzione perchè da quando c’è il primo barlume di realizzazione di tutto questo il processo è lungo nel senso che la donna avrà momenti di negazione, andando in cerca di tutti quei comportamenti che le confermano i se ntimenti positivi dell’amante. Conferme che in fondo quell’uomo a lei ci tiene tanto, proprio tanto. Si metteranno in moto elementi di giustificazione rispetto alla manchevolozze dell’altro, ma come si diceva i nodi stanno venendo al pettine. E’ un processo lento fatto di alti e bassi, di crisi, di altalene emotive.
Tutto questo mina l’autostima e l’autodeterminazione della persona. Generalmente le persone richiedono aiuto quando si ritrovano in questa lunga fase.

QUALI SONO LE EMOZIONI IN GIOCO?
Nella fase inziale del rapporto con l’altro uomo l’emozione avvertita è la gioia che prorompente e vitale contagia pensieri, sensazioni ed azioni. Sembra di essere in un mondo fatato. Ci si sente al settimo cielo. In un secondo momento quando il rapporto supera i 12-18 mesi e le richieste di conferma d’amore battono cassa, la persona comincia a sentire montare la rabbia (un’emozione forte ed intensa). Rabbia verso l’uomo che non sa prendere una decisione, rabbia verso la donna dell’uomo (compagna, moglie ecc.) che n on si accorge che il marito è innamorato di un’altra donna ovvero di lei, rabbia verso i difetti del partner che appaiono amplificati, infine, rabbia verso se stessi.
Talvolta si può instaurare anche l’emozione della tristezza che se fa seguito ad una rottura del rapporto potrebbe anche lasciare lo spazio ad uno stato di calo dell’umore.

LA MODERNA PENELOPE
Come Penelope decantata da Omero nell’Odissea attendeva il ritorno del marito Ulisse filando e sfilando la tela così, nell’era moderna, le donne atte ndono la decisione dell’altro uomo. Attendono che l’amato lasci la famiglia, si decida perchè, e questo è un elemento di estrema importanza, loro, la maggior parte di loro, ha già deciso ovvero è pronta a lasciare la famiglia per costruirne una nuova con l ‘amato. Come Penelope l’attesa può durare anni e il disagio nonchè la sofferenza aumentano nel tempo fino, talvolta, a dover richiedere un aiuto esterno.

L’AIUTO ESTERNO
Nel complesso ed intimo mondo delle relazioni si entra sempre in punta di piedi.
Un profondo rispetto per la sofferenza che la persona sta vivendo è il punto di partenza per iniziare un percorso volto a sostenere coloro che si trovano a gestire sentimenti ed emozioni intensi e talvolta contrastanti.
Piccoli, ma costanti passi volti inizialmente a definire l’obiettivo. Questo è un aspetto importante sul quale lavorare insieme. Spesso le persone che richiedono una consulenza per problemi relazionali prendono tale incontro come uno “sfogo”, questo atteggiamento provoca l’effetto palude, si ristagna nel problema.
Definire l’obiettivo (es. Il coraggio di prendere una decisione; la possibilità di parlare al partner o all’amante in modo chiaro ed efficace senza tentennamenti/ripensamenti; focalizzarsi su come imparare ad accettare la situazione senza nutrire false aspettative ecc.) è fondamentale per uscire dalla trappola del fare e disfare la tela come faceva Penelope. Uscire dalla trappola dell’attesa. Tutti i passi in questa direzione li costruiamo insieme in base a quanto emerge e fino al raggiungimento dell’obiettivo sarò al tuo fianco. Al tuo fianco rifletti su questa cosa. Non davanti, non dietro, ma al tuo fianco.

UN DISPERATO BISOGNO D’AMORE

“Non si può stare bene con gli altri se prima non si sa stare bene da soli”.
“Se non sai stare senza una persona non sai stare neanche con quella persona”.
(G. Nardone).

Nel petto di molte persone batte un cuore con un disperato bisogno d’amore. Quando il bisogno d’amore diventa disperato? Nel momento in cui la persona per stare anche soli pochi minuti con l’altro arriva, con il tempo, a rinunciare a se stesso, dapprima parzialmente poi completamente. Abdicare i propri interessi, gusti, speranze, iniziative, desideri a favore di quelli di un’altra persona è una trappola che allontana sempre più dal proprio cuore.

SOTTO I RIFLETTORI DELLA SCIENZA
La Dipendenza affettiva ad oggi (2021) non è ancora inserita tra i disturbi psicologici all’interno del Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), ma gli addetti ai lavori sono da tempo concordi nel definirla come un problema psicologico comportamentale specifico che merita di essere annoverato tra i disturbi psicologici.
Colpisce in stragrande maggioranza le donne e il termine dipendenza è volutamente utilizzato per descriverne gli effetti in un qualche modo assimilabili alla dipendenza da alcol o stupefacenti. Beninteso che non essendoci però l’assunzione di una sostanza specifica la dipendenza affettiva rientra tra le “Dipendenze comportamentali”, cioè quelle forme dipendenza che non coinvolgono sostanze, ma comportamenti, persone, relazioni.

AMORE BENEFICO
Dell’amore si fa un gran parlare e nonostante questo pervenire ad una sua definizione diventa un’impresa ardua.
Le stesse caratteristiche inafferrabili dell’amore, che non passano sul piano razionale, ma afferiscono a quello sentimentale ed emotivo, non consentono di rilegarlo in ampie o brevi descrizioni, etichette, definizioni da manuale accademico. Risulta però chiaro, su un piano squisitamente clinico, che l’amore benefico poggia su una bilanciata armonia tra autonomia e reciprocità. Un gioco di equilibrio in cui si assiste, da una parte, ad un costante capacità di ascolto, comprensione, condivisione, partecipazione tra i partner, dall’altra, alla gestione dei propri interessi, al perseguimento dei propri obiettivi, alla realizzazione dei propri desideri. Due entità ed identità quelle dei partner coinvolti in una relazione d’amore in grado di mantenere ed alimentare la propria autonomia, autodeterminazione al di là della coppia. Una relazione in cui l’attenzione è tenuta vigile sia sull’altro sia su se stessi.

DIPENDENZA AFFETTIVA
Quando la presenza dell’altro diventa l’unica ragione di vita, quando nell’altro viene deposta la chiave della felicità, quando lo stare con se stessi spaventa terribilmente e solo la presenza dell’altro può calmare questa paura siamo in presenza di una dipendenza affettiva. La persona che vive in funzione dell’altro non è più in grado di percepirsi, di sentirsi, questo avviene perchè nel restare a disposizione dell’altro si perdono di vista le proprie sensazioni, bisogni desideri. Esemplificative sono frasi del tipo:
“Non importa, questa volta faccio come vuole, per me ci sarà un’altra occasione”
“Va bene così, mi ha promesso che la prossima volta si farà come desidero io”
“Sì, il calcio non mi piace però lui è contento quindi guardo anch’io la partita”

PARADOSSI DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA
Le persone dipendenti temono di essere abbandonate, si sentono vulnerabili, incapaci di affrontare le sfide del mondo esterno e si ritrovano nella condizione di richiedere costantemente il sostegno dell’altro, più diventano dipendenti e richiedono sostegno più aumenta la loro sensazione di non essere in grado di bastare a se stessi, in un gioco paradossale che alimenta un circolo vizioso senza fine. Inoltre, le persone dipendenti letteralmente si prostrano all’altro in una accondiscendenza senza precedenti che non stimola il partner, ma spesso conduce ad atteggiamenti di evitamento e allontanamento fino esperire comportamenti di rifiuto attraverso gesti e parole poco raccomandabili. In questo modo le persone D.A. finiscono per essere amati per “quello che fanno” e non per “quello che sono”. Si mettono completamente “a disposizione” fino al punto in cui annullano la parte autentica del sé e si rispecchiano solo nell’altro che diventa la ragione di vita, fonte di felicità, fino al bisogno estremo di conferma della propria esistenza. Anche questa tentata soluzione di fare, fare, fare per essere visti, sentiti, partecipati si ritorce a sfavore della persona affettivamente dipendente al punto che più tentano di farsi amare per quello che fanno più sono rifiutati dal partner, più sono rifiutati e più si danno da fare in un paradosso che si autoalimenta.

COSA SI PUO’ FARE
La possibilità di amare il partner in modo equilibrato dipende dalla capacità dei singoli di percepirsi e rispettarsi come individui e persone se parate. Riconoscere se stessi e l’altro come persone, ognuna con le proprie diversità, favorisce il mantenimento e il proseguo del cammino di una relazione amorosa soddisfacente. Fare un percorso per individuare il proprio valore, per riconoscere le proprie attitudini, per riconnettersi con i propri desideri, passioni o imparare a desiderare ad appassionarsi consente di porrè la “meritevole” attenzione al sè. Consente di percepirsi come persone aventi un intimo ed intrinseco “valore” capaci di godere ogni sfumatura della vita a partire da se stessi. Tutto questo è finalizzato a poter essere amati per “quello che si” è e non per “quello che si fa”. Sottile grande differenza.

ASCOLTO EMOTIVO NELLA COPPIA

Quante coppie si amano ma faticano a dirsi le cose, cadono nel vortice di parole dette al vento, non ascoltate, non recepite, non comprese?
Quante coppie sono consapevoli dei meccanismi comunicativi disfunzionali che investono la loro relazione?
Quante coppie conoscono l’ascolto emotivo che rappresenta uno degli ingredienti fondamentali per una comunicazione efficace alla vita di coppia?

Un esempio per inziare:

Lilli ama il suo compagno ma ogni volta che tenta di parlare con lui ne esce sconfitta ed esausta.
Con le migliori intenzioni Lilli si prepara ad affrontare l’argomento che le sta a cuore vorrebbe esprimere la sua posizione spiegargli che spesso si sente trascurata, che talvolta sente il desiderio di trascorrere più tempo con lui svolgendo attività che in passato piacevano ad entrambi, ma, seppure con le migliori intenzioni, appena inizia il confronto sente salire la tensione, la difficoltà a mantenere la calma e come uno tsuanami si sente travolta da un’ondata di rabbia crescente. Il tono di voce si alza, i nervi sono tesi, sente che potrebbe persino tirargli un pugno in faccia, tanto è il nervoso. Matteo ama Lilli ma ogni volta che lei dice “dobbiamo parlare, le cose così proprio non vanno” si sente schiacciato contro un muro e vorrebbe scappare. Si sente messo al ring come un pugile ormai indifeso. Matteo resta, ascolta e non ribatte. Il suo starsene in silenzio irrita Lilli che ancor di più sente di non valere poi così tanto per Matteo. Lilli chiede una risposta, esorta Matteo a parlare. Lui è in confusione. Ha paura e vorrebbe che Lilli si calmasse. Matteo dopo essere caduto nella prima trappola di una comunicazione non efficace, ovvero il silenzio, cade nella seconda trappola quando suggerisce a Lilli di calmarsi. Stare zitti o dire ad una persona arrabbiata di calmarsi sono psicotrappole in cui è facile cadere e altrettanto difficile è rialzarsi. Nessuno dei due è consapevole che dire ad una persona arrabbiata di calmarsi è il miglior modo per fare uscire lingue di fuoco al drago infuriato. Nessuno dei due si è mai fermato a riflettere su questo primo step di comunicazione insoddisfacente.

L’ascolto emotivo, l’ingrediente della comunicazione efficace

La mancanza di conoscenza dell’ascolto “emotivo” risulta essere una delle caratteristiche più diffuse inerenti la difficoltà di comunicazione riscontrate all’interno della coppia. Procediamo per gradi e proviamo a capire cosa vuol dire ascolto emotivo e come questo rappresenta uno degli ingredienti fondamentali della comunicazione efficace. Quando una persona ci dice “dobbiamo parlare, voglio parlarti, mi piacerebbe chiarire questa cosa” ecc dentro di noi si attiva un sistema di attenzione e concentrazione selettivo, ovvero focalizzato sulle parole che l’altro dice.
Quelle parole però se sono accompagnate da una reazione emotiva intensa, come la rabbia, vengono amplificate nel loro significato. La persona che ascolta si pone quindi sulla difensiva.
L’attenzione e la concentrazione ora devono focalizzarsi, da una parte, sulle parole per non perderne il significato ed essere pronti a ribadire o esprimere il proprio punto di vista, dall’altra parte, sulle reazioni concitate del partner che appaiono minacciose. In quel momento, pensateci per un attimo, se vi chiedessi quale emozione sta provando la persona che sta parlando cosa rispondereste. Rabbia – tutta la vita.
Risposta esatta? Bene il punto dolente è che se siamo fuori dagli schemi, ovvero, lontani dalla situazione descritta siamo abili ad individuare l’emozione della persona che sta parlando quando, invece, siamo coinvolti in quello scenario cerchiamo solo di parare i colpi.

Individuare le emozioni

Questo è il primo step dell’ascolto empatico. Ovvero la capacità di individuare le emozioni degli altri nel mentre si è coinvolti nella situazione. Non sto dicendo che è facile, ma necessario sì. Facciamo un altro passo in avanti, dato che avanti è l’unica direzione possibile. Nel mentre si è coinvolti in dinamiche simili possiamo dire, per semplificare, che chi parla è sotto effetto delle emozioni chi ascolta, invece, sotto l’effetto della razionalità. I due soggettini in questione si pongono su due registri opposti o quanto meno diversi che non consentono di intedersi, di comprendersi, di capirsi. Tornando al nostro esempio: esortare alla calma una persona arrabbiata significa parlarle facendo riferimento al “registro razionale”, ma l’altra persona è sintonizzata sul “registro emotivo” della rabbia, che per giunta rappresenta una delle emozioni più dirompenti. Comincia ad essere tutto più chiaro, vero? Difficile capirsi in questa situazione di asimmetria palese. Quindi? Non avere fretta, consentimi un ultimo passaggio.

Il ruolo del Cervello primitivo e del cervello evoluto nelle emozioni

Cerco di semplificare in modo estremo le modalità con cui il cervello analizza le informazioni provenienti dal mondo esterno. La persona in preda alle emozioni in quel momento è sintonizzata sul cervello primitivo deputato a filtrare le informazioni provenienti dal mondo esterno e trasmetterle al cervello evoluto deputato ai processi razionali di risoluzione dei problemi e capacità decisionale (in gergo si utilizzano termini di lingua anglosassone come problem solving e decision making). Le informazioni che il cervello primitivo reputa pericolose hanno scarsa probabilità di arrivare al cervello evoluto, succede qualcosa di simile a quando in una fortezza una sentinella individua un pericolo proveniente dal mondo esterno e lancia l’allarme e l’ordine di sollevare il ponte levatoio. Hai presente quelle espressioni di saggezza popolare come “ti è andato in pappa il cervello”, “hai il cervello in blackout”, “sei scollegato” sì, proprio così, hai capito bene si riferiscono al ponte levatoio che il cervello primitivo ha sollevato per escludere la partecipazione del cervello evoluto. Quindi? Come posso comunicarla in modo più efficace? Che cos’è l’ascolto emotivo di cui mi hai parlato?

Eccoci arrivati all’ascolto emotivo

La persona sintonizzata sul registro emotivo deve riconoscere l’emozione che l’altro sta vivendo e, secondo step, deve sintonizzarsi con questa emozione e abbandonare temporaneamente il registro razionale. Se il cervello evoluto di chi è in preda alla rabbia è momentaneamente escluso, in blackout, scollegato non posso parlare con il registro razionale, pena il non intendersi. Che è poi quello che accade nella maggior parte degli scambi comunicativi all’interno della coppia. Riconoscere e sintonizzarsi sul registro emotivo dell’altro è la strada maestra foriera di
possibilità orientate alla comprensione e alla riduzione della conflittualità. Ad esempio dire: “Capisco. Ti senti trascurata e questo ti fa stare così tanto male che ti viene una rabbia pazzesca” è tutta un’altra musica per chi parla e chi ascolta. Senti come queste parole utilizzate in sostituzione di “calmati, per favore” suonano avvolgenti e coinvolgenti. L’altra persona si calma, la forza dirompente della rabbia perde energia. Questo è solo un esempio di quanto sia possibile ottenere attraverso un processo di comunicazione in cui impara ad ascoltare empaticamente l’altro. Un piccolo passo alla volta fino ad sentirsi davvero sintonizzati con il proprio partner. L’ascolto empatico è uno degli ingredienti della comunicazione efficace questo e molti altri diventano strumenti utili per poter gestire in modo soddisfacente la relazione di coppia. Percorsi brevi focalizzati su questo obiettivo consentono di acquisire una modalità adeguata nei casi in cui le persone pur volendosi bene manifestano difficoltà a confrontarsi, parlarsi, intendersi.